Una verifica doverosa

 

Una verifica doverosa

Un giorno l’assessore ai lavori pubblici del paese chiamò Antonio nel suo ufficio.

“Cosa vorrà mai?” Pensava tra se e se Antonio. Il rapporto con l’autorità gli generava sempre un inevitabile disagio. Non si sapeva mai dove sarebbero andati a parare i potenti. Comunque erano quasi sempre rogne. L’assessore lo salutò cordialmente ed entrò subito in argomento. “Antonio forse lo saprai già ma Giovanni è morto… il camposantaro. Lo conoscevi no?” Certamente che lo conosceva e sapeva anche che era morto. Si vedevano quasi tutti i giorni quando andava a ritirare l’immondizia dal cimitero. Lui faceva lo scopino, così si chiamavano una volta.

“Antò… te la sentiresti di prendere il suo posto? Gli disse senza troppe cerimonie l’assessore. La paga resta la stessa ma non avrai l’onere di alzarti presto la mattina e inoltre avrai diritto ad abitare nella casa annessa al cimitero”.

Lì per lì Antonio restò sconcertato… il cimitero i morti, le anime.

“Pensaci! Tu mi sembri la persona adatta… se accetti potrai cominciare subito, al presidente della cooperativa dove lavori ci penso io”. La sera ne parlò con la moglie, i figli erano piccoli e non avrebbero capito. La moglie si dimostrò subito propensa. Non avrebbero più pagato l’affitto, il lavoro sarebbe stato più leggero…

I morti? “Ma i morti sono morti, che male possono fare? Poi adesso fai lo scopino se diventi camposantaro sali di grado”.

Così Antonio iniziò il suo nuovo lavoro. Non ci mise molto ad imparare il mestiere. Aveva visto decine di volte seppellire i morti. C’era il campo comune dove venivano messi quelli che non avevano la tomba di famiglia. Le tombe venivano scavate a mano ma adesso lui aveva un aiutante che se ne occupava. Antonio si fermava ad aiutarlo per calare la bara nella fossa. Poi era compito dei parenti fornire la croce, la fotografia e le generalità. Lui comunicava l’avvenuta sepoltura all’impiegato del Comune ed era finita lì. Oltre alle tombe monumentali delle famiglie abbienti disseminate qua e là nel cimitero c’erano le schiere dei fornetti. Una decina di lotti di quattro file ciascuno. All’ultima fila non ci si arrivava da terra allora per mettere i fiori ed innaffiarli si accedeva alla lapide con il trabattello. Lui si prodigava ad aiutare quelle persone perlopiù anziani che non ce la facevano da soli. Gli pagavano il caffè o il cornetto al bar. Nelle morti dolorose i parenti lo pregavano di mantenere in ordine la tomba e allora ci scappava anche la mancia.  Non passò molto tempo che Antonio aveva appreso tutto quello che c’era da sapere nella gestione del cimitero. La cosa più gravosa erano le riesumazioni.

 

 

 

Alcune salme sembravano non aver risentito del passare degli anni e facevano proprio impressione. Alcuni conservavano ancora i capelli che però a contatto con l’aria di dissolvevano. Antonio si turava il naso poi con la spazzola puliva le ossa dai residui della decomposizione e le metteva nella cassetta. Se esse venivano reclamate dai parenti trasferiva la cassetta nella loro tomba altrimenti le gettava nella botola dell’ossario nella cappella. Qualche volta gli capitava di fare tardi per lavoretti di manutenzione ma l’oscurità non gli faceva più impressione.  Chiudeva il cancello dall’interno e traversando i campi con le croci rientrava a casa. Nelle notti d’estate gli era capitato di vedere i fuochi fatui che si accendevano sopra i tumuli delle tombe. Delle fiamme azzurrognole che serpeggiavano nell’aria stagnante della calura estiva. Gli sembravano una cosa strana e per niente paurosa. Un fatto naturale. Glielo aveva spiegato il segretario comunale una volta che gli aveva portato l’assegno di una signora per il pagamento di un fornetto. Il metano che si sprigionava dalla decomposizione dei corpi con il caldo prendeva fuoco spontaneamente e generava le fiammelle.

Quel giorno c’era stato un funerale molto penoso. I parenti si erano attardati vicino alla tomba mestamente piegati dal dolore. Antonio aveva aspettato che se ne andassero poi aveva sistemato i fiori ordinatamente di fronte al loculo. Quando si accinse a rientrare era l’imbrunire. Le luci tremolanti delle tombe cominciavano ad accendersi. Ricordò di aver lasciato la callarella, la martellina e lo scalpello sul lotto dei fornetti appena costruiti al piano superiore… aveva tolto un’antiestetico sbruffo di calcestruzzo fuoruscito dalla cassaforma. Salì la decina di gradini del piano. Si chinò a raccattare gli attrezzi poi alzò lo sguardo. Restò impietrito. Alcuni metri più avanti da un fornetto del primo piano sporgevano due piedi. Sentì i peli rizzarglisi sul corpo. Restò per un momento paralizzato con il fiato corto poi, si dispose a fuggire.

Mentre indietreggiava vide un piede muoversi. La tensione allora si allentò. Non si trovava di fronte ad un fatto efferato. Lì nel fornetto c’era una persona. Anche l’altro piede si mosse. Poi apparvero le ginocchia e infine il vestito. Lavinia… una vecchia vedova bizzarra e molto conosciuta in paese per le sue stranezze uscì dal fornetto. Si mise in piedi spolverandosi dalla ampia gonna la polvere dei calcinacci. Quando vide Antonio trasalì. “Mi avete fatto paura! Cosa fate lì impalato?

“Ah io vi ho fatto paura, piuttosto cosa ci fate voi qui a quest’ora? E cosa ci facevate nel fornetto?”

 

 

“Antonio questo fornetto è mio… l’ho appena prenotato. Visto che quelli dell’altro lotto sono stati costruiti più stretti del dovuto e hanno dovuto tagliare la cassa per farla entrare, mi sono venuta a misurare prima di firmare il contratto”.

Gianfranco Liberati

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