Una bugia dalle gambe cortissime.

 

Chi vuole intraprendere la carriera o avere la semplice determinazione di fare lo scrittore deve attenersi a delle regole base. Fare i conti con la grammatica, la sintassi, la punteggiatura, la consecutio temporum ecc. Soddisfatte queste esigenze di natura tecnica l’autore può entrare nel merito della scrittura e sviluppare il suo progetto sia esso un romanzo, un racconto, un saggio o una poesia. (La poesia a differenza delle altre specialità gode di una certa benevolenza nel giudizio critico della sua forma. Se il poeta, per soddisfare una rima o per chiudere un verso, o per affliggere il lettore con i suoi piagnistei ha bisogno di deviare dalle regole grammaticali o storpiare un verbo nessuno troverà da ridire). Alcuni poeti esagerano con le licenze e si prendono anche le ferie, ma questo attiene alla sfera della psicologia.  

Tra i tanti tranelli nei quali può incappare uno scrittore nello sviluppare la sua opera certamente il più pericoloso è quello di essere noioso. Perdersi in mille rivoli, dilungarsi sui particolari da far dimenticare la dirittura principale del suo lavoro. Il lettore percepisce immediatamente se l’argomento trattato accende la fantasia e la voglia di continuare la lettura oppure induce una sonnolenza pomeridiana.  Il rischio è che l’eventuale ammiratore dopo aver letto una mezza pagina dello scritto non solo lo chiuda e lo cestini, ma maturi un certo risentimento nei confronti dell’autore: Madonna mia che lagna!

Io sono ben consapevole di questo pericolo e per evitarlo ho fatto un esperimento. Ho preso un racconto di un paio di pagine e applicando la regola del giornalismo l’ho ridotto all’essenziale. Taglia di qua, taglia di là. Eliminate le parentele dei due attori, i luoghi della vicenda, i dialoghi con persone non direttamente interessate, i retro pensieri, le azioni propedeutiche allo sviluppo del fatto ed altre considerazioni di carattere generale.

Ne è scaturito un raccontino di un centinaio di parole. Spero di non aver tagliato troppo e lo spirito dell’episodio abbia mantenuto la sua attrattiva.

Sul blog metterò anche la versione francese sia perché il francese mi è caro e a parer mio più idoneo per le cose d’amore, sia perché ritengo l’italiano una lingua molto manipolabile dal punto di vista dei significati. Una cosa la si può dire in dieci modi diversi e questo nuoce alla schiettezza del racconto.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Une mensonge aux jambes tres courtes

“Je t’aime bien mais nous sommes amis, pas plus”. La limite fixé; pas question de la depasser. Je ne desistais pas mais je ne reussi jamais a vincre sa reserve. Un jour je tombais malade. Je lui pris de coté.

“Je doit te parler… je suis serieusement malade”.

Son attitude changea, sa figure s’empourpra. Elle me serré tres fort dans ses bras, m’embrassa sur les yeux, sur la bouche.

En suite on etais etendues sur le canapé a saisir la douceur de notre rapport… sa tète sur mon epaule. Pris de un sentiment de honneteté   je regrettai d’avoir menti. Je ne voulez pas salir avec un mensonge un sentiment aussi pur et juste demarré.

“Je doit t’avouer une chose… je ne suis pas malade, j’ai le rhume”.

Elle ouvrit un peu l’oeil… en souriant a peine.

“Ne t’inquièter pas. Tu n’auras pas pensé que je t’avais cru?”


 

 

 

 Una bugia dalle gambe cortissime.

“Siamo amici, non di più”. Il limite era fissato e non c’era verso di superarlo. Io non demordevo però non riuscii mai a vincere la sua ritrosia.  Poi un giorno mi ammalai. La chiamai in disparte.

“Ti devo parlare… sono gravemente malato”.

Il suo viso avvampò.

Mi abbracciò forte. Mi baciò sugli occhi, sulla bocca.

Dopo, adagiati sul divano ad assaporare la dolcezza del nostro  rapporto appena nato, la testa di lei appoggiata nell’incavo della mia spalla.

Fui preso dagli scrupoli.

“Ti devo confessare una cosa.

Non sono gravemente malato… ho il raffreddore!”

Lei aprì un occhio, sorrise appena.

“Perché… pensavi che ci avessi creduto?”

Gianfranco Liberati

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