Un etrusco quasi vero.
UN ETRUSCO QUASI VERO
Tatoccio nel dialetto
bassanese significa genericamente statua o altro manufatto che abbia sembianze
umane o animali. Il materiale del tatoccio può andare dal coccio al legno, al
gesso, al marmo. Tatocci sono quindi genericamente definite tutte quelle
sculture di scarsa qualità che non hanno un valore artistico riconosciuto. Per estensione il termine si appioppa ad una
persona non particolarmente sveglia. “Sei proprio un tatoccio! Ti sei fatto
fregare come un tatoccio.” Oppure parlando di un amministratore o un impiegato non
molto acuto: “Quello lo hanno messo lì come un tatoccio ma nun se sa fa manco
il segno della croce”.
Fatte queste premesse veniamo
al fatto.
“Tu statte zitto… che
al museo t’hanno preso pe ‘n tatoccio!”
Quella sera al bar, dopo
una discussione accesa su un fatto di cronaca la disputa si era chiusa così. L’insulto
a brutto muso era stato rivolto da Alvaro autotrasportatore a Giovannino
custode in un importante museo etrusco di Roma.
Il lavoro di custode
non è molto considerato dalla gente comune. Pensare che qualcuno sia pagato
anche bene, con tutte le garanzie sociali come ferie, malattia ecc. per non
fare niente o quasi genera un certo risentimento; specialmente in quelle
persone, come nel caso in oggetto, che svolgono attività manuali e sono
costrette a lavorare duro per guadagnarsi la stozza. In effetti i custodi di
museo per la maggior parte del tempo non devono fare nulla se non sorvegliare
che niente di anomalo accada alle cose custodite. Poi in quel periodo il
turismo batteva la fiacca e ben pochi visitatori frequentavano i musei. C’erano
giornate nelle quali nessuno si presentava alla biglietteria per una visita.
Però per dare una
obiettiva valutazione del lavoro di custode senza lasciarsi trascinare in una
critica superficiale bisogna considerarne anche gli aspetti meno evidenti. Far niente è più difficile che lavorare. Noi
siamo fatti per lavorare intendendo il lavoro come qualsiasi attività. Per una
persona attiva il fatto di dover stare senza fare niente è uno sforzo che
equivale a quello di dover fare un lavoro gravoso. Il cervello in particolare
se lo si costringe alla stasi è capace di inventare una caterva di cose che si
potrebbero fare se non si fosse obbligati a non fare nulla. Questo volere e non
potere genera delle nevrosi che bisogna tener sotto controllo affinché non
sfocino in qualcosa di più grave e uno cominci a dare i numeri.
Giovannino, uomo di
media statura con i capelli cespugliosi e la barba, era da tanti anni custode
in un museo etrusco. Per vincere la noia di quelle giornate interminabili aveva
escogitato un metodo efficace. Si sedeva sullo sgabello pluricentenario di
legno reso lucido dall’uso, in mezzo ai vasi e alle anfore e mentalmente
passava in rassegna tutte le cose che avrebbe fatto dopo il lavoro. Di ognuna
valutava gli aspetti, le difficoltà, il tempo che ci voleva per eseguirla, le
modalità per affrontarla, il costo dei materiali occorrenti, dove li avrebbe
reperiti ecc. Durante questa operazione mentale si estraniava dall’ambiente
circostante e scivolava in uno stato catatonico quiescente (coscienza/non
coscienza). Fu così che un giorno Giovannino non si avvide dell’arrivo di una
comitiva. Un turista giapponese vedendolo emergere dai reperti volle sincerarsi
che quello che vedeva fosse realmente la riproduzione fedele di un etrusco. Si
avvicinò e puntando l’indice su di lui ne saggiò la consistenza.
Gianfranco Liberati
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