Golgota

 

            In tema con la settimana santa ho scritto qualcosa sulla passione di Gesù Cristo.
            Premetto che ho un profondo rispetto per la figura del Cristo e per il suo insegnamento. Non avendo però né l’autorità né la competenza per vagliarne la natura divina, mi sono concentrato sull’aspetto squisitamente umano del suo sacrificio.
            Il titolo riprende il nome dal colle dove Gesù fu crocifisso: Golgota.
 
        
            Golgota
 
            Il colpo di frusta gli graffia il volto. Un dolore lancinante lo fa barcollare. Il pesante tronco lo trascina con sé. Cade in ginocchio sulla strada bianca e sassosa. Piovono altri colpi. Sente lo schiocco della frusta prima ancora che il cuoio dello staffile gli laceri la pelle. China la testa e stringe gli occhi. La corona di spine gli si conficca ancor più profondamente nella carne. Le lacrime scorrono sul viso mischiandosi al sangue. Con uno sforzo enorme si rimette in piedi rimanendo un attimo in bilico. La gente muta per un momento riprende il suo vociare. Un uomo si stacca dalla folla; gli deterge il viso con un lembo della veste e lo sgrava dal pesante carico. Solo allora può alzare lo sguardo. Facce ostili, ghignanti. Insulti, sberleffi, risate lo trafiggono più delle spine. A insultarlo sono gli stessi che fino a qualche giorno fa lo hanno acclamato. Non prova odio verso di loro. Ingenui! Sono stati inconsapevolmente manipolati dai potenti che hanno risvegliato la loro natura animale. Quando gli angeli interverranno con le spade di fuoco per sterminarli alzerà la mano: “No! Fermatevi! Sono miei fratelli”.
            Scosta l’uomo e di nuovo si carica della croce. La strada s’inerpica verso il Golgota. Sente il roco ansimare degli altri due condannati dietro di lui. Imprecano contro la folla maledicendo la loro mala sorte. Se solo potesse voltarsi; li guarderebbe benevolo, scaccerebbe la paura da quegli occhi incupiti, duri ed avvezzi al dolore.
                                                                                                                                     
            Alcuni ragazzi sfidando la frusta dei soldati gli si parano davanti:
            “Onore, onore al figlio di Dio”. Si chinano allargando le braccia scatenando l’ilarità della gente. Solo le donne tacciono. Dietro agli scuri veli delle giovani, traspare la tristezza, forse amore per quell’uomo. Diverso, forte, coraggioso che ha capito le loro paure e ha cercato di liberarle dal ferreo giogo delle usanze. Le sue parole hanno acceso nei cuori la speranza e hanno permesso al sogno di illuminare le loro giovani menti. Le più anziane avvezze alla servitù e alla rassegnazione vedono in lui il figlio. Un figlio ribelle ma non cattivo, che paga una pena spropositata per la colpa commessa.
            I piedi, non abituati alla terra sono escoriati e sanguinanti. Ogni passo gli procura violente fitte. In cima alla collina la moltitudine attende eccitata. Cade per la terza volta. Si protegge dai colpi di frusta con il braccio alzato. Dove sono gli angeli? Perché tardano? Perché non si ode in lontananza il potente suono delle loro trombe? Il suo spirito vacilla. Si guarda intorno smarrito. Poi la sua fede incrollabile lo rende di nuovo padrone di se. È il padre che lo mette alla prova.
            Pentiti Nazareno! Gli grida una voce accorata. Il dubbio lo coglie. Di cosa deve pentirsi. Di aver diffuso l’amore e la compassione? Di aver tentato di soppiantare la fallace giustizia umana con quella divina? Sciocco uomo. Lo benedice silenziosamente.
            Lo stendono a terra, brutalmente. Gli strappano la tunica di dosso. Completamente inerme, vede il martello alzarsi. Il chiodo gli trafigge la carne. Il dolore s’irradia nelle membra. Più che il dolore è la paura. Per la prima volta ha completa coscienza di ciò che accade. Si sente completamente perduto ed un senso di vuoto gli serra le viscere. Lo issano con una corda. Due, tre scossoni, poi i colpi dei cunei alla base della croce. Il giovane corpo, dilaniato e martoriato, si contrae. Uno dopo l’altro, sono issati anche i suoi sfortunati compagni. Dal basso gli giungono i suoni indistinti ed il vocio della gente. Rumori consueti che però, questa volta non sono in suo onore. Dei soldati si giocano a dadi la tunica, regalo di una famiglia riconoscente.
            In disparte una figura dimessa, quasi completamente nascosta dal velo nero, gli occhi pieni di lacrime, lo guarda. È la madre. Solo adesso la vede. Si rende conto da quanto tempo non parla con lei. La guarda con dolcezza, ne intuisce la disperazione. Vorrebbe rifugiarsi tra le sue braccia, proteggersi da tutta quella gente cattiva ed ostile. Il pianto lo scuote irrefrenabile. Alza la testa e si rivolge al padre:
            “Padre! Che sei nei cieli, lenisci il suo dolore”. Si gira poi, verso gli altri due crocifissi. Ancora una volta li esorta alla speranza. Uno di loro lo ascolta in silenzio, l’altro lo insulta: “Padre, quale padre, smettila con questo padre. 
            I muscoli delle braccia cominciano a cedere. Brividi di freddo lo percorrono mentre il giovane corpo a poco a poco scivola in basso. Il peso comprime il torace, la respirazione diventa affannosa, le membra s’irrigidiscono colte dai crampi. Stati d’incoscienza si alternano a momenti di lucidità. In quegli attimi egli si rivolge ancora al Padre. Dalla bocca però non escono più parole. La sua preghiera non è che un rantolo. Gli porgono su una canna un panno imbevuto di acqua ed aceto. I due al suo fianco sono morti. La sua forte fibra resiste ma il corpo sussulta. Un soldato compassionevole gli apre il costato con un colpo di lancia. Dalla ferita, talmente i muscoli sono contratti, esce sangue misto a fiele ed anche le ultime forze. Gesù sente la vita sfuggirgli e con un estremo, disperato grido d’angoscia:
            Eli, Eli lamà sabachthàni” (Dio, Dio perché mi hai abbandonato?) Ma Dio è muto. Poi Gesù reclina la testa e muore. (…et reclinato capite, emisit spiritum).
            La folla è svuotata e sgomenta.
            Si fa improvvisamente notte. I lampi guizzano nelle nuvole nere e il tuono scuote la terra. Madre natura umiliata da quella morte si ribella e piange.
            

 

Quel giorno anche Dio pianse.
 

Gianfranco Liberati

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