Un cane incolto
UN CANE INCOLTO
Le sospensioni della macchina gemevano per lo sforzo. La strada di campagna era sconnessa quasi impraticabile. La pioggia dei giorni precedenti aveva scavato veri e propri canyon sulla carreggiata. In certi punti si restava con le ruote all’aria e bisognava stare attenti a non finire in una buca o in un solco. A ridosso della macchia finalmente la strada spianava divenendo più regolare con il fondo compatto di pietrisco lavico. Ogni tanto c’erano delle enormi pozzanghere. L’acqua motosa si spargeva come una lama marrone quando vi piombavamo dentro. Finalmente scollinammo sul Monte dei Falchi. Da lassù si dominava il paesaggio. Sotto di noi si apriva l’immensa vallata verde dei pascoli. Più lontano, tra le cime degli alberi, si scorgeva il tenue azzurro del lago di Bracciano. A ridosso della collina spiccava il tetto rosso del casale di Battista. C’era ancora la discesa da affrontare. Lì i solchi erano ancora più profondi e bisognava mettere le ruote a cavallo facendo attenzione a non cadere dentro. Peppe sedeva a mio fianco silenzioso incurante e indifferente alle mie manovre. Studiava il paesaggio come per individuare un posto preciso.
“Dovrebbe essere lassù”.
Disse ad un tratto
indicando con il dito.
“Lì, in quella radura in
mezzo al bosco”.
Detti solo uno sguardo impegnato
com’ero a mantenere la macchina in equilibrio sui crinali della strada. Mi
fermai un po’ più giù. Senza scendere per non scivolare sulla terra fangosa, aprii
lo sportello e mi arrampicai sul predellino aggrappandomi al porta
bagagli. Guardai più attentamente. In effetti
in mezzo ai cerri e ai faggi nella collina antistante si notava una diversa
tonalità di verde.
“Ma come c’è andato a
finire lì”?
Mi riferivo a Battista,
il nostro amico comune anche lui appassionato di archeologia.
“Stava tagliando un cerro
caduto quando alla base dell’albero, in mezzo alle radici ha notato dei pezzi
di mattone. Mi ha subito avvertito. Lui è sempre in cerca. Questa è una zona
ricca. Nell’arco dei secoli in questo territorio si sono succeduti numerosi
insediamenti: gli etruschi, i romani e gli arabi. Ogni tanto c’è qualcosa che affiora dal
sottosuolo quando le piogge sono violente e la piena scava la terra. Appena
vede qualche coccio Battista mi chiama. Andiamo a vedere. Hai visto mai? Tanto
ci andiamo con il trattore così lo aiutiamo a caricare la legna”.
“Ma non abbiamo niente
per scavare”
“Non ti preoccupare! Se
ne vale la pena gli attrezzi ce l’ha lui”.
Percorremmo ancora un
mezzo chilometro tra cigolii e sobbalzi; finalmente girammo sul prato antistante il
casale. Battista non c’è. Ovvero non c’è il trattore che è il suo unico mezzo
di locomozione. La sua proprietà si estende per una cinquantina d’ettari tra
prati e boschi. Senz’altro avrà spostato il gregge dall’altra parte della
collina. Battista ha ereditato la proprietà dal padre: anch’egli allevatore.
Adesso c’è il casale ma prima c’era una grossa capanna e Giovannaccio (così era
soprannominato il padre) se ne stava dei mesi lassù. Veniva in paese solo nelle
ricorrenze. Alla festa di Sant’Antonio non mancava mai. Allora sfoggiava la sua
migliore tenuta da cavallerizzo e sceglieva il cavallo più bello per
partecipare alla sfilata della benedizione degli animali.
Battista, pur avendo
avuto delle opportunità d’impiego in altri settori più remunerativi, ha scelto
di continuare l’attività di allevatore del padre. Ha un piccolo gregge, delle
vacche e naturalmente dei cavalli. Non è avido: dal suo bestiame trae quel che
gli basta per vivere. Il contatto con la natura lo appaga più di qualsiasi
altra cosa. Naturalmente viene in paese più spesso del padre. Ha degli amici
con i quali condivide i suoi interessi. Peppe è uno di questi, appassionato di
architettura e abbastanza competente per quanto riguarda l’archeologia.
Mentre percorriamo il
centinaio di metri di prato antistante il casale ci viene incontro il cane: un
maremmano grosso e biancastro. Abbaia
come un forsennato. Noi scambiamo il suo abbaiare per una chiassosa
accoglienza. Macché! Si avvicina alla macchina e il suo abbaiare si trasforma
in un ringhio. Appena faccio il gesto di scendere mi si avventa. Sono costretto
a risalire. Apro un po’ il finestrino. Lui è appiccicato al vetro con i denti
scoperti e lo sguardo cattivo. Restiamo così per un paio di minuti. In macchina
non ho niente per difendermi. Se avessi un bastone certamente riuscirei a
tenerlo a bada. Io non ho paura però quando un cane ti mostra i denti, bisogna
andarci cauti. Non c’è che aspettare.
“Prova a scendere
dall’altra parte” dico a Peppe. Nemmeno
per idea. Peppe non si muove di un millimetro, lui non è uno che rischia.
A me questa situazione
non piace affatto e penso ad alta voce:
“Ti pare che devo essere
tenuto in ostaggio da un dannatissimo cane”. Pian piano apro la portiera. Poso
un piede per terra e senza aprire del tutto mi rifugio dietro ad essa quando il
cane fa la mossa di avvicinarsi. Guardo lassù sulla collina con la speranza di
vedere Battista arrivare. La situazione non si risolve. Io in piedi dietro la
portiera, il cane che non desiste e Peppe che per nulla turbato dalla forzata immobilità
comincia a sonnecchiare. Questa condizione d’impotenza mi dà assai fastidio ma
non posso farci niente. Cerco con lo sguardo dentro la macchina in cerca di un
oggetto qualsiasi che possa servirmi da difesa, magari un ombrello. L’unica
cosa che vedo sul cruscotto è una innocentissima cartina stradale che mi hanno
regalato al distributore. La prendo in mano tanto per fare qualche cosa.
Giro e rigiro la cartina
tra le mani. Ad un tratto, forse per sfogare la mia condizione di frustrazione,
la svolgo e la apro d’un colpo allargando le mani. Succede una cosa
inimmaginabile. Caì caì caì! Il cane come se avesse visto il demonio scappa a
gambe levate che le zampe posteriori gli toccano le orecchie. In un attimo
scompare dietro al casale. Restiamo stupiti ci viene da ridere; valla a capire
la psicologia canina. Scendiamo finalmente dalla macchina. Si dice che gli
animali presto o tardi finiscano a somigliare al padrone. In questo caso il
cane si è dimostrato imprevedibile e originale come Battista.
“Però Battista è
originale ma non ringhia”. Fa Peppe ridacchiando. La volta scorsa che siamo
venuti a trovarlo ne abbiamo avuto la prova. Lì intorno al casale c’è un
cavallino che Battista lascia libero di girare a piacimento. È un animale molto
dolce che si fa accarezzare. Fa subito amicizia e ti segue dappertutto anche
nei locali. Nel casale c’è una stanza dove Battista tiene i vari mangimi.
Mentre esce con un secchio di granoturco per le galline ho notato che Battista toglie
la chiave dalla porta. Mi è sembrata esagerata tanta precauzione e glielo ho
fatto notare. Ha sorriso.
“Vuoi vedere perché la
levo”? Ha rimesso la chiave nella toppa e ha chiuso la porta. Il cavallino
stava a guardare. Appena ha visto la chiave si è avvicinato. Con la bocca in
pochi secondi è riuscito a girarla ed aprire dirigendosi senza esitazione verso
il sacco delle crocchette.
“Hai visto? Tu non ci
credevi”.
Eccolo che arriva. Scende
con la sua andatura dinoccolata e ci saluta. Saliamo sul rimorchio del trattore.
Il cane ha completamente dimenticato i ringhi e come se niente fosse ci viene
dietro. Per scaramanzia mi porto dietro la cartina. Dopo una decina di minuti
arriviamo sul posto. Il grosso cerro è adagiato da una parte. Battista lo ha
già quasi completamente sezionato ricavandone un mucchio di legna. Tra le
radici spiccano dei pezzi rossi di coccio. Peppe si tuffa tra le radici
allargandole con le mani. Estrae un pezzo più grosso. Lo esamina poi scrolla la
testa. “Niente di interessante”. È un pezzo di tegola di una saracina. Sicuramente in quella zona ci
sono stati i saraceni, gli arabi provenienti dal sud della penisola arabica. I saraceni avevano un’ottima competenza in idraulica.
Quando si insediavano in un luogo la prima cosa che facevano era cercare le
sorgenti d’acqua. Le pulivano, le collegavano e le dirottavano con un sistema
di valvole a ghigliottina chiamate saracinesche, a ricordo dei loro inventori.
Con esse alimentavano i canali per l’irrigazione e i bisogni del villaggio. Per
mantenere l’acqua pulita al riparo dagli animali i canali erano rivestiti e protetti
da tegole di terracotta. Quella che abbiamo trovato nelle radici non è che un
pezzo di una di esse. Niente etruschi, né romani, solo saraceni. Restiamo
delusi. I saraceni non hanno mai lasciato nulla di prezioso ai posteri se non
la loro ingegneria idraulica. Comunque c’è da caricare la legna; poi andremo a
fare merenda nel casale con il formaggio e il vino di Battista. Il cane è
sempre lì che gironzola. Quando abbiamo finito di caricare ci riposiamo
appoggiati al rimorchio del trattore. Io prendo la cartina dalla tasca
posteriore dei pantaloni e la uso come ventaglio.
“Com’è, ti sei portato la
piantina, avevi paura di perderti? Fa Battista ironicamente. Alloro gli
racconto l’episodio del cane. Lui ascolta ridacchiando.
“Ci credo, ci credo…
Lupone (indica il cane) è sempre stato un asino in geografia”.
Gianfranco Liberati
L'Autore
https://gianfrancoliberati.blogspot.com/p/l-autore.html
I miei Libri
https://gianfrancoliberati.blogspot.com/p/i-libri-di-gianfranco.html
Complimenti Ji
RispondiElimina