Musica musica

MUSICA MUSICA “De gustibus non disputandum est”. Sui gusti non si può discutere! Dice il detto latino. Come ciò sia vero lo possiamo sperimentare ogni giorno osservando le preferenze di ognuno di noi sugli alimenti, sulla moda, sulla musica ecc. A non tutti piacciono le stesse cose! Per fortuna.

L’autista arriva puntuale. Ho appena finito di fare colazione ed è già nella hall dello Sheraton ad aspettarmi. L’intravvedo mentre chiede di me. Prendo la ventiquattrore con i documenti e gli vado incontro. È un indiano dalla pelle olivastra con una calvizie appena appena evidente. Si chiama Mangat; avrà una cinquantina d’anni: Se li porta bene. Ha tutti i capelli neri. Mingherlino del tipo: slim size però ha la pancetta prominente; cosa assai frequenti negli indiani. L’essere vegetariani ha i suoi benefici ma anche i suoi inestetismi. Il mio amico Cesare lo definirebbe: il verme che ha ingoiato l’oliva, ma Cesare è sempre molto ironico.  Mangat ha i baffetti neri spioventi che gli danno un’aria furbetta. Vive in Qatar da quattordici anni. Di religione mussulmana abita a Doha con la famiglia. Mangat fa parte di una società che fornisce manodopera locale alle compagnie europee nell’ambito dei servizi amministrativi e di supporto logistico. In Qatar come in Arabia Saudita gli arabi hanno incarichi di gestione; la burocrazia è quasi totalmente importata dai paesi limitrofi come l’India il Pakistan, il Bangladesh e ancora più ad est dalle Filippine e dalla Tailandia.

L’impianto di purificazione gas del quale dovrò sviluppare dei rilievi, è un’unità di una enorme raffineria; dista una quarantina di chilometri dalla capitale. Per la quindicina di giorni che dovrò rimanere sarà Mangat a scarrozzarmi dato che la patente italiana lì non è riconosciuta, bisogna riconvertirla. Mentre si destreggia nel traffico del centro, dopo aver parlato del più e del meno lo stuzzico un po’. “What is the trick to get so dark hair? (qual è il trucco per avere i capelli così neri?). Mi guarda dubbioso per sincerarsi che io stia realmente scherzando. “Any trick mister Liberati,  is original”(nessun trucco! Tutto autentico). Hi hi ridacchia divertito sotto i baffetti poi, con naturalezza infila una cassetta nell’autoradio. Io sto guardando la città e cerco di imprimermi le strade nella mente. Dovrò venire ancora diverse volte poiché l’ingegneria del progetto si sta sviluppando a Roma e c’è bisogno di un collegamento periodico per verificare se quello che si progetta a Roma è congruente con la disposizione degli apparecchi nell’unità esistente. La prossima volta, convertita la patente, sarò autonomo e non avrò più bisogno di Mangat.

Le vie di Doha sono ampie ed alberate. Agli incroci non ci sono semafori: sono stati quasi completamente sostituiti dai round about: delle rotonde molto ampie che snelliscono enormemente il traffico.  Ognuna di queste rotonde ospita al centro delle opere originali: pregevoli e originali sculture o composizioni artistiche progettate dagli architetti di tutto il mondo. Per esempio in una di queste c’è una caffettiera moka enorme di tre o quattro metri d’altezza.

Doha capitale del Qatar è una città moderna che si sviluppa per una quindicina di chilometri sulle rive di un’ampia insenatura del Golfo Persico. Una fila ininterrotta di grattacieli di tutte le fogge e dimensioni (sembra di stare a New York) segue la grande curva.  Un’enorme litoranea detta: corniche affianca i grattacieli ed è a sua volta separata dal mare da una striscia di una cinquantina di metri di prati verdi pieni di palme e fiori. Ogni tanto un chiosco per fornire supporto alle famiglie che vengono a fare il picnic sull’erba. In fondo alla corniche si staglia la sagoma imponente a piramide rovesciata del Doha Hotel. Da quest’altro capo come punto di riferimento c’è un vecchio galeone trasformato in un ristorante. La banchina della corniche è tutta pavimentata e ogni tanto ci sono gli accessi al mare. Si può passeggiare per diversi chilometri senza essere disturbati da automobili o altri mezzi di locomozione.

La zona vecchia e popolare è all’interno. Le case basse senza tetto; con le viuzze strette che si diramano in un dedalo inestricabile costituiscono il centro storico. Là vive la gente meno abbiente e gli artigiani anch’essi importati dai paesi di tutto il medio e l’estremo oriente.

Lasciato il traffico cittadino imbocchiamo la strada per Ras Lafan: la località dell’impianto verso cui siamo diretti. La si potrebbe definire un’autostrada; tanto è ampia però non ci sono i guard rail. A delimitare le carreggiate due ininterrotte file di palme. Delle autobotti le innaffiano con potenti getti d’acqua; non sono ancora molto alte ma sono comunque cariche di datteri. Non più distratto dal panorama mi viene all’orecchio la musica della cassetta inserita da Mangat. È costituita da una sola canzone, perlomeno a me così sembra. Il significato me lo ha spiegato Mangat in seguito e descrive la controversia tra un pretendente sposo e la famiglia di lei che si oppone al matrimonio. Lo spasimante cerca in tutte le maniere di convincere i parenti di lei con tutta l’arte canora di cui è capace. Il coro fa da spettatore e parteggia ora per lo spasimante ora per la famiglia.  Solo dopo aver provato e riprovato a rinnovare la sua proposta i genitori dell’amata cedono e tutto finisce a tarallucci e vino.

La canzone inizia con lo spasimante che esprime la sua supplica. Con una voce sinuosa e belante pronuncia una frase che suona pressappoco così:

“Sa irà sa irà umm sa irààààà”. Il coro che accompagna la canzone prende atto di quella che sembra essere una richiesta e risponde all’angosciante interrogativo: “agatù agatù bu gurù”. Il cantante non sembra soddisfatto della risposta del coro poiché ripropone una ventina di volte ed in tutte le tonalità: “sa irà sa irà um sa irààààà”. Il coro per nulla mosso dal tremulo tentativo del cantante di scardinare la resistenza dei genitori di lei, continua imperterrito a gorgogliare: “agatù agatù bu gurù”. A questo punto l’accompagnamento che ha esordito con un: plin plon plan ed uno scroscio di tappi di birra, si arricchisce di nuovi contributi: strumenti tintinnanti e barattolanti in un crescendo che non lascia presagire nulla di buono. Nel frattempo il cantante tenendo conto dall’atteggiamento ostile degli altri coristi, concede una parola alla frase precedente:

“Sa irà sa irà umm sa irààààà vallakkààà”. Questa volta il coro sembra appagato dalla concessione del solista e risponde. Agatù agatù bu gurù, seguito da un èeeèèeeèèeeèèeeeee un gorgheggio flessuoso che farebbe impallidire un usignolo. L’accompagnamento subito accortosi del cambio di atteggiamento tra il cantante e il coro interviene in maniera massiccia. Il tono degli strumenti si alza. I sitar si fanno miagolanti; agli scrosci di tappi di birra si aggiungono delle percussioni terribili tipo batteria di pentole in alluminio. Sembra un incidente stradale.

Il cantante resosi conto che il coro e l’accompagnamento lo stanno sopraffacendo racimola le forze ed in uno spasimo estremo caccia dalla gola un nitrito prolungato che azzittisce per un momento l’orchestra. Tre vigorosi colpi di gong pongono fine alle ostilità.

Resto allibito.  Mangat, l’autista, che ha tambureggiato tutto il tempo sul volante ciondolando la testa, si china per reinserire la cassetta. Per fortuna siamo arrivati. Al posto di guardia della raffineria la polizia controlla minuziosamente i documenti, infilano un carrello con gli specchi sotto la macchina. Tutto a posto. Ci ricordano che è proibito fare fotografie e utilizzare il telefonino. Un saluto e ci lasciano entrare. Andiamo prima in ufficio a salutare e poi a visitare i pozzi del gas per farsi un’idea di come sviluppare l’ingegneria della modifica. Il Qatar è ricchissimo di gas. Le teste dei pozzi che sporgono dal sottosuolo sono sormontate da una serie di valvole definite in gergo: albero di Natale per la loro somiglianza con l’albero natalizio. Bisogna andarci cauti poiché il gas prima di essere purificato è velenosissimo. Basta una sbuffata e addio.

Il giorno dopo diamo un passaggio ad un ingegnere della Kentieghi di Como che si occupa di strumentazione industriale. Mentre parliamo del progetto e delle cose da fare in comune, Mangat inserisce di nuovo la cassetta. Noto che anche l’ospite sembra disturbato dalla nenia ma per educazione si astiene dal fare commenti. La volta successiva prevengo Mangat. Prima che possa compiere il gesto usuale di inserire la cassetta accendo la radio.

C’è Gloria Gaynor: I will survive. La sua voce potente, le percussioni ripetitive e profonde ti prendono allo stomaco.

“Mangat do you like this song”? (Ti piace questa canzone?). Glielo chiedo dando per scontato che mi dica di sì invece, mi risponde con un mezzo sorriso come per dire: mica tanto. Mi rendo conto che i meccanismi che muovono le nostre emozioni sono fondamentalmente diversi. Anche Mangat se ne accorge. Ogni volta che fa il verso di inserire la sua cassetta gli faccio un gesto intimidatorio con l’indice:

Mangat! Nun ce provà”!

Mangat sorride. Gli indiani non se la prendono mai.

Commenti

  1. Sicuramente una bella esperienza.
    Un episodio molto simpatico
    Doha varrebbe la pena visitarla

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